Produttività e benessere: con quali strumenti guidare il cambiamento?

Nuovi modelli organizzativi allineati agli obiettivi dell’agenda ONU 2030.

ESG E WELFARE AZIENDALE

I temi legati alla sostenibilità diventeranno sempre più dirimenti per le imprese ed è utile avviare una riflessione sul tipo di investimento da fare per trovare attinenza connessione e coerenza nelle politiche di welfare orientate e bilanciate con le politiche Environment Social Governance cioè legate ai temi dell’ambiente dell’impatto sociale e della governance.
Una gestione aziendale ispirata buone pratiche e a principi etici può ispirarsi a strumenti innovativi di Risorse Umane, come appunto risulta essere, per eccellenza, il welfare aziendale
Il welfare è strumento fatto da un insieme di benefit e prestazioni non monetarie, messe a disposizione indipendenti e volontarie, non obbligatorie. Quali scenari per il futuro dei modelli organizzativi?
Quello che facciamo ha delle conseguenze e influenza tutti, anche in termini di benessere all’interno delle comunità in cui viviamo, familiari, aziendali, territoriali e poi nazionali.
Quali possono essere gli strumenti concreti per favorire la crescita di queste comunità?
Il welfare è sicuramente uno strumento fondamentale.
Prendersi cura dei bisogni delle persone come ci ha insegnato un maestro come Adriano Olivetti, è uno dei pilastri su cui si fondano identità e spirito di appartenenza.

In questo decennio c’è stato un progressivo uso di tali strumenti un po’ per visione, un po’ per le particolari agevolazioni.
Strumenti che, se correttamente gestiti, possono dare dei risparmi di imposta notevoli e incentivare e migliorare il rapporto di lavoro, aumentare il potere di acquisto delle famiglie, incentivare e migliorare il rapporto impresa-dipendenti migliorando anche la retention, per trattenere le persone nell’azienda, evitare che se ne vadano via e anche cercando di attirare verso l’azienda i talenti e le persone che vogliono, ora più di 10 anni fa, trovare imprese che gestiscono politiche di HR in modo attento e rispettoso.

A questi indubbi vantaggi ovviamente si aggiunge anche la possibilità di perseguire modelli di sviluppo sostenibile, guardando e nell’ottica dell’agenda Onu 2030.
Il welfare può essere collegato al raggiungimento di diversi obiettivi.
Uno strumento che sta iniziando a funzionare molto bene in questo ambito è quello del welfare territoriale o di comunità.

Si tratta di una forma di welfare che aggrega a livello territoriale più realtà produttive e che fornendo anche servizi utili alla comunità di riferimento dei diversi territori può  beneficiare anche di risorse pubbliche destinate proprio alla crescita di quei territori. Una forma di integrazione tra Welfare privato e Welfare pubblico che è una delle strade per il futuro dei sistemi di welfare

Rinnovato ruolo degli strumenti di welfare

Ma stanno nascendo anche strumenti innovativi per la misurazione individuale e personale e in ottica di prevenzione del proprio benessere psico-fisico. Strumenti che alcune aziende hanno già deciso di installare all’interno dei propri uffici ma che assicurano completa riservatezza, perché l’analisi viene svolta direttamente dal lavoratore attraverso un macchinario dedicato che ha la finalità principale di rendere più vicine all’utente finale le tecnologie per la salute finalizzate a rilevare alcuni fondamentali valori di base: stato cardiovascolare, forma fisica, metabolismo e nutrizione, stress.

Si tratta anche in questo caso dell’esempio di un concreto strumento di welfare. A partire dal 2016, ossia da quando hanno trovato concretezza normativa le agevolazioni fiscali connesse all’implementazione dei piani di welfare attraverso il meccanismo della conversione dei premi di produttività, è consistentemente cresciuta anche la percezione del ruolo e dell’importanza del welfare come concreto strumento di benessere. Benessere che l’organizzazione mette a disposizione dei propri collaboratori e che, in ragione di questo presupposto, diviene strumento di benessere individuale ritornando poi all’azienda sotto forma di motivazione, efficienza e produttività. Il welfare aziendale e privato si è così sviluppato non solo sulla base dei beni o servizi offerti unilateralmente ai dipendenti – i c.d. “fringe benefits” – ma anche in una prospettiva di efficientamento produttivo e con la finalità di costruire piani di incentivazione finalizzati ad accrescere all’interno delle organizzazioni il benessere individuale e collettivo ed in generale il senso di appartenenza

 

TIPOLOGIE DI WELFARE 

Welfare contrattuale: Trova la sua fonte istitutiva nella contrattazione collettiva a diverso livello (nazionale, territoriale o aziendale).

Welfare aziendale: Insieme di servizi e prestazioni erogati ai lavoratori per iniziativa unilaterale e volontaria del datore di lavoro, senza nessun tipo di negoziazione od accordo con le rappresentanze dei lavoratori.

Si divide in

  • welfare aziendale volontario, unilateralmente concesso dal datore di lavoro senza alcuna costrizione di natura legale, contrattuale o regolamentare;
  • welfare aziendale obbligatorio, dove l’obbligo in capo al datore di lavoro deriva da una pattuizione sindacale (contratto aziendale) o da un regolamento unilaterale.

Welfare sostitutivo (o di produttività): con il termine “welfare aziendale” si intendono prestazioni, opere e servizi corrisposti al dipendente in natura o sotto forma di rimborso spese aventi finalità di rilevanza sociale che, in presenza di determinate condizioni, sono escluse dal reddito di lavoro dipendente.

Si parla di “welfare sostitutivo” o “di produttività” quando il dipendente, in seguito a previsione del contratto di secondo livello, opta per la conversione del premio di risultato in benefits ritenuti meritevoli di tutela ai fini del soddisfacimento di esigenze sociali, con accesso ad incentivazioni ed esenzioni fiscali e contributive.

È legato alle novità normative introdotte dalla legge di Stabilità per il 2016 (L. 28 dicembre 2015, n. 208, comma 182-190), con riferimento alla detassazione ed esenzione dei premi di risultato, e descrive non tanto una tipologia di welfare, quanto piuttosto una modalità di erogazione dei premi di risultato o degli utili.

Identifica le prestazioni e i servizi ottenuti dai lavoratori in sostituzione (totale o parziale, a discrezione del dipendente) dei premi di risultato o degli utili; concetto espresso anche come “welfarizzazione” del premio di produttività: a richiesta del lavoratore e a condizione che sia previsto dalla contrattazione di secondo livello, le retribuzioni premiali possono essere erogate sotto forma di benefit cioè prestazioni, opere e servizi corrisposti al dipendente in natura o sotto forma di rimborso spese aventi finalità ritenute di rilevanza sociale.

Il piano di welfare può non essere collegato alle condizioni richieste al welfare di produttività, ma essere implementato dal datore di lavoro su base volontaria o in accordo con le rappresentanze sindacali, prevedendo sin dall’origine la corresponsione di beni e servizi. A questo criterio di assegnazione fa riferimento il “welfare aggiuntivo”.

Con il termine di “flexible benefit” vengono infine identificati i piani che mettono a disposizione del dipendente un paniere di utilità, tra le quali può scegliere quelle rispondenti alle proprie esigenze.

La possibilità accordata al dipendente di convertire in beni e servizi, in tutto o in parte, il premio di rendimento altrimenti oggetto di detassazione, consente di scegliere fra le molteplici soluzioni di welfare previste dall’art. 51 del TUIR.

Tipologie di benefits oggetto di welfare sostitutivo

Come premesso, a condizione che sia espressamente prevista dalla contrattazione di secondo livello, il lavoratore ha la facoltà di sostituire il premio di risultato con le somme e i valori di cui all’art. 51, cc. 2, 3 (ultimo periodo) e 4, TUIR D.P.R. n. 917/1986 . Si tratta di prestazioni, opere e servizi corrisposti al dipendente in natura o sotto forma di rimborso spese, aventi finalità di “rilevanza sociale” ed escluse in tutto o in parte dal reddito di lavoro dipendente (art. 1, c. 184, L. n. 208/2015):

  •  benefits ex art. 51. cc. 2-3 (ultimo periodo) TUIR: non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente nel rispetto dei limiti indicati, né sono soggetti all’imposta sostitutiva, anche nell’eventualità in cui gli stessi siano fruiti in sostituzione in tutto o in parte dei premi di produttività per scelta del lavoratore;
  • benefits ex art. 51, c. 4 TUIR: concorrono a formare il reddito del lavoratore secondo i criteri definiti dal medesimo comma e non sono soggetti all’imposta sostitutiva anche quando essi siano fruiti per conversione dei premi di risultato. Pertanto, la determinazione della base imponibile deve avvenire secondo i criteri del comma 4, mentre l’eventuale parte di premio non sostituita dal benefit può essere fruita a scelta del lavoratore (tassazione sostitutiva, tassazione ordinaria o altro benefit).

Nell’ipotesi di conversione del premio di risultato, il valore del benefit rileverà nel periodo d’ imposta in cui il dipendente ha optato per la conversione del premio di risultato, relativamente al momento rilevante ai fini del rispetto del limite di reddito (Ag. Entrate risposta a interpello n. 212/2019).

Per quanto concerne, invece, il momento di percezione dei benefit sostitutivi del premio di risultato, ovvero del rispetto dei limiti previsti dalle disposizioni ai fini della loro non concorrenza al reddito, l’Amministrazione Finanziaria ha precisato che in base al principio di cassa, che presiede la determinazione del reddito di lavoro dipendente, la retribuzione deve essere imputata in base al momento di effettiva percezione della stessa da parte del lavoratore.

Elementi non soggetti all’imposta sostitutiva

Non concorrono a formare reddito di lavoro dipendente, né sono soggetti all’ imposta sostitutiva del 10%:

  • i contributi alle forme pensionistiche complementari, anche se superano il limite di deducibilità pari a 5.164,65 euro;
  • i contributi di assistenza sanitaria versarti a enti o casse aventi esclusivamente fini assistenziali; — il valore delle azioni distribuite ai dipendenti a condizione che non siano riacquistate dalla società emittente o dal datore di lavoro o comunque cedute prima che siano trascorsi almeno 3 anni dalla percezione, anche oltre il limite di esenzione pari a 2.065,83 euro (art. 1, c. 184-bis, L. n. 208/2015).

Le somme e i valori di cui al comma 2, all’ultimo periodo del comma 3 e al comma 4 dell’art. 51 del D.P.R. n. 917/1986 non sono soggetti all’ imposta sostitutiva del 10% anche nell’eventualità in cui siano fruiti, per scelta del lavoratore, in sostituzione, in tutto o in parte, dei premi di risultato e delle somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa (art. 1, c. 184, L. n. 208/2015).

L’INPS ha analizzato tutti quei casi in cui la disciplina contributiva si discosta da quella fiscale (INPS circ. n. 49/2023).

Nonostante l’armonizzazione realizzata con il D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 314, il regime di esclusione dall’imponibile ai fini contributivi è più ampio di quello fiscale, poiché accanto alle voci di esenzione individuate dal legislatore (art. 1, c. 2 del TUIR), ve ne sono altre aventi rilevanza ai soli fini previdenziali.

La circolare chiarisce il caso relativo alla conversione del premio di risultato in versamenti alla previdenza complementare.

Secondo l’Istituto in tale caso è dovuto il contributo di solidarietà INPS del 10% a carico del datore di lavoro. Lo stesso vale nell’ ipotesi di conversione del premio in versamento di contributi di assistenza sanitaria a enti o casse con finalità esclusivamente assistenziale.

Viene inoltre chiarito che il contributo di solidarietà è dovuto anche se il premio è convertito in versamenti di cui alla lett. f-quater) del secondo comma dell’art. 51 del TUIR, ovvero di contributi e premi versati dal datore a favore della generalità dei dipendenti o di categorie di dipendenti per prestazioni, anche in forma assicurativa, aventi per oggetto il rischio di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana o aventi per oggetto il rischio di gravi patologie.

Nell’intento di rafforzare ulteriormente le possibilità di conversione del premio di risultato, la Legge di bilancio 2017 aveva infatti escluso in toto l’imponibilità per la contribuzione versata alla previdenza complementare e all’assistenza sanitaria integrativa, anche se di importo eccedente gli ordinari limiti di deducibilità fiscale (5.164,57 euro per i contributi di previdenza complementare e 3.615,20 euro per quelli di assistenza sanitaria integrativa).

La norma nulla aveva disposto in merito allo specifico obbligo di versamento del contributo di solidarietà del 10% previsto dall’art. 12, comma 4, lett. f) della legge n. 153/1969 e dall’art. 16 del D.Lgs. n. 252/2005, dovuto sulle somme a carico del datore di lavoro versate ai fondi di previdenza complementare nonché a fondi e casse con esclusivo fine assistenziale.

In merito a tale obbligo, sono pertanto coesistiti dal 2017 fino ad oggi due orientamenti contrapposti.

Un primo orientamento considerava i premi di risultato convertiti in contributi come somme a carico del datore di lavoro, con il conseguente onere di versare, sugli stessi, il contributo del 10% all’INPS. Un secondo orientamento poneva a carico del lavoratore i contributi da versare ed escludeva il versamento del contributo di solidarietà poiché riconducibili ad una libera scelta del lavoratore di trasformare il premio monetario in future prestazioni previdenziali ed assistenziali.

L’INPS dirime la questione e chiarisce che i contributi versati ai fondi di previdenza complementare nonché a quelli di assistenza sanitaria integrativa, a seguito della scelta del dipendente di convertire il premio di risultato detassabile, sono sempre da assoggettare al contributo di solidarietà del 10% a carico del datore di lavoro.

PDR e sostituzione con misure di welfare: i profili previdenziali

La Legge n. 208/2015 ha previsto la possibilità, a richiesta dei lavoratori, di ricevere le somme a titolo di premio di risultato e sotto forma di partecipazione agli utili assoggettati a imposta sostitutiva all’Irpef e alle addizionali regionali e comunali sotto forma di prestazioni sociali (c.d. benefit) che, in tale caso, in virtù dei principi di armonizzazione delle basi imponibili, godono di esenzione sia ai fini fiscali che contributivi; detta esenzione opera entro i limiti e nel rispetto delle condizioni previste dal TUIR (v. INPS circ. n. 49/2023).

Pertanto, accanto alla possibilità di avvalersi della tassazione sostitutiva viene riconosciuta al lavoratore la facoltà di scelta in relazione ai premi di risultato, relativa alla possibilità di ottenere il premio in denaro o in natura, senza imposizione fiscale e contributiva, nei limiti previsti dalle norme.

Mentre il premio di risultato sconta la normale contribuzione e un’imposta sostitutiva fiscale agevolata del 10% (ridotta al 5% per l’anno 2023) in capo al dipendente, il welfare aziendale è generalmente esente da contribuzione previdenziale sia per il datore di lavoro che per il lavoratore.

Welfare aziendale: quali sono i vantaggi fiscali per i datori di lavoro

Ø  1 Che cos’è il welfare aziendale?

Il welfare aziendale è l’insieme di benefici e prestazioni erogati ai dipendenti nell’intento di integrare la componente meramente monetaria della retribuzione, sia in funzione di sostegno al reddito, sia in funzione del miglioramento della vita privata e lavorativa.

Con l’espressione welfare aziendale si identificano somme, beni, prestazioni, opere, servizi corrisposti al dipendente in natura o sotto forma di rimborso spese, aventi finalità di rilevanza sociale ed esclusi, in tutto o in parte, dal reddito di lavoro dipendente. Si tratta, quindi, dell’insieme delle iniziative di natura volontaria o obbligatoria che il datore di lavoro promuove per incrementare il benessere del lavoratore e della sua famiglia.

L’Agenzia delle Entrate lo ha definito come l’insieme di benefici e prestazioni erogato ai dipendenti nell’intento di integrare la componente meramente monetaria della retribuzione sia in funzione di sostegno al reddito sia in funzione di miglioramento della vita privata e lavorativa.

Ø  2 Chi sono i beneficiari del welfare aziendale?

Il welfare aziendale, inteso somme, beni, prestazioni, opere e servizi per beneficiare del particolare regime dell’esclusione, in tutto o in parte, dal reddito di lavoro dipendente deve essere offerto alla generalità dei dipendenti o a categorie omogenee. Secondo l’Agenzia delle Entrate, affinché le predette somme e valori risultino, in tutto o in parte detassati, è necessario, però, che l’offerta sia rivolta alla “generalità dei dipendenti” ovvero a “categorie di dipendenti”.L’espressione “categorie di dipendenti” non vanno intese soltanto con riferimento alle categorie previste nel Codice civile (dirigenti, operai, etc.), bensì a tutti i dipendenti di un certo tipo (ad esempio, tutti i dipendenti di un certo livello o di una certa qualifica, ovvero tutti gli operai del turno di notte ecc.), purché tali inquadramenti siano sufficienti ad impedire, in senso teorico, che siano concesse erogazioni ad personam in esenzione totale o parziale da imposte

Ø  3 Posso riconoscere il welfare aziendale ad un solo lavoratore?

No, l’eventuale riconoscimento di beni e servizi di welfare aziendale ad un solo lavoratore nell’ambito della generalità di dipendenti, comporta la perdita del beneficio fiscale e contributivo in capo al percettore, con la conseguenza che gli importi si devono intendere come retribuzione imponibile.

Ø  4 Posso riconoscere il welfare aziendale agli stagisti o ai lavoratori somministrati?

Si, è possibile. Per quanto riguarda i lavoratori somministrati, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che i beni e servizi saranno messi a disposizione dall’Agenzia in qualità di datore di lavoro e addebitati all’utilizzatore.bPer quanto riguarda i tirocinanti, è possibile coinvolgerli in un piano welfare in quanto percepiscono redditi assimilati a quelli da lavoro dipendente.

Ø  5 Chi sono i beneficiari del welfare?

I beni e servizi di welfare aziendale possono essere utilizzati, a seconda della tipologia da:

– lavoratore destinatario;

– suo familiare;

– lavoratore e dal destinatario.

Ø  6 Chi sono i familiari beneficiari del welfare?

Per quanto riguarda i familiari, la norma fa riferimento ai famigliari di cui all’art. 12 del TUIR.

Coniuge non legalmente ed effettivamente separato. Figli, compresi i figli naturali riconosciuti,

i figli adottivi e gli affidati o affiliati

Genitori e, in loro mancanza, gli ascendenti prossimi. Fratelli e le sorelle germani o unilaterali
Adottanti Generi e nuore Suocero e la suocera Partner unione civile
Ø 7 Quali sono i beni e servizi che posso offrire/mettere a disposizione dei diversi beneficiari?

 

Tipologia di beni/servizi Soggetti beneficiari
Oneri e servizi di utilità sociale – Lavoratori
– Familiari
Spese di istruzione Familiari
Assistenza anziani e familiari non autosufficienti Familiari

anziani: soggetti che hanno compiuto 75 anni

non autosufficienti: coloro che non sono in grado di compiere gli atti della vista quotidiana – persona che necessita di sorveglianza continuativa (risultante da certificazione medica)

Contributi o premi versati contro il rischio di non autosufficienza Lavoratori
abbonamenti per il trasporto pubblico locale, regionale e interregionale – Lavoratori

– Familiari fiscalmente a carico

Assistenza sa nita ria integrativa Lavoratori
Previdenza complementare (NO TFR) Lavoratori
Servizio sostitutivo mensa Lavoratori
Beni ceduti e servizi prestati Lavoratori

Ø  8 Come posso introdurre il welfare aziendale in azienda?

L’offerta o erogazione dei servizi di welfare può essere posta in conformità a disposizioni di:

– contratto o di accordo;

– regolamento aziendale;

– volontariamente.

Per quanto riguarda il contratto o accordo, il riferimento è l’art. 51 del D.Lgs. n. 81/2015 ai sensi del quale salvo diversa previsione, ai fini del D.Lgs. n. 81/2015, per contratti collettivi si intendono i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria.

Ø  9 Quali sono i vantaggi fiscali e contributivi per il lavoratore del welfare?

Il welfare aziendale è una misura che riconosce dei benefici fiscali e contributivi per il lavoratore destinatario.

In particolare, dal punto di vista fiscale, le misure previste dal TUIR, art. 51, comma 2 e comma 3 alle condizioni ivi previste, sono escluse dalla formazione del reddito da lavoro dipendente (in virtù della loro natura sociale in deroga al principio di onnicomprensività del reddito di cui al comma 1).

Per quanto riguarda l’aspetto contributivo, l’art. 6, D.Lgs. n. 314/1997, ha sancito, in via generale, l’armonizzazione tra imponibili fiscali e contributivi. Questo significa che ciò che non costituisce reddito imponibile fiscalmente, non è reddito neanche dal punto di vista contributivo. Dunque, i valori riconosciuti come welfare aziendale sono esclusi dal versamento dei contributi a carico lavoratore sul tali misure (oltre che dell’azienda).

Con la circolare n. 49/2023 l’INPS è intervenuta, a distanza di quasi 7 anni rispetto alle novità in vigore dal 2016 per fornire alcuni chiarimenti in merito al regime contributivo delle somme erogate o messe a disposizione come welfare aziendale.

A tal proposito l’istituto ricorda che nonostante il D.Lgs. n. 314/1997 preveda l’armonizzazione della retribuzione imponibile fiscale e previdenziale, il regime di esclusione dall’imponibile ai fini contributivi è più ampio di quello fiscale, poiché accanto alle voci di esenzione individuate dal legislatore al co. 2 dell’art. 51 del TUIR, ve ne sono altre aventi rilevanza ai soli fini previdenziali, come individuate dall’art. 12 l. n. 153/1969 (come sostituito dall’art. 6 del D.Lgs. n. 314/1997).

Si tratta in particolare di quanto previsto al co. 2 dell’art. 51 del TUIR e, segnatamente, quelle individuate alle lettere a) e f-quater, ovvero:

a) i contributi previdenziali e assistenziali versati dal datore di lavoro o dal lavoratore in ottemperanza a disposizioni di legge; i contributi di assistenza sanitaria versati dal datore di lavoro o dal lavoratore ad enti o casse aventi esclusivamente fine assistenziale in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, che operino negli ambiti di intervento stabiliti con il decreto del Ministro della Salute di cui all’art. 10, comma 1, lettera e-ter), per un importo non superiore complessivamente ad euro 3.615,20. Ai fini del calcolo del predetto limite si tiene conto anche dei contributi di assistenza sanitaria versati ai sensi dell’art. 10, comma 1, lettera e-ter),

f-quater) i contributi e i premi versati dal datore di lavoro a favore della generalità dei dipendenti o di categorie di dipendenti per prestazioni, anche in forma assicurativa, aventi per oggetto il rischio di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana, le cui caratteristiche sono definite dall’art. 2, comma 2, lettera d), numeri 1) e 2), del decreto del Ministro del Lavoro, della salute e delle politiche sociali 27 ottobre 2009, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 12 del 16 gennaio 2010, o aventi per oggetto il rischio di gravi patologie, che sono da assoggettare al contributo di solidarietà del 10% per la quota a carico del datore di lavoro.

Ø  10 Quali sono i vantaggi fiscali per le aziende?

E’ prevista, dall’art. 95, comma 1, TUIR, la possibilità di dedurre dal reddito dell’impresa tutte le spese sostenute in denaro o in natura per il lavoro dipendente, pertanto anche quelle relative all’erogazione di prestazioni di welfare.

L’eccezione è rappresentata dall’art. 100 del TUIR (Oneri di utilità sociale), in base al quale, la deducibilità dal reddito di impresa è limitata al 5 per mille delle spese per il personale dipendente con riferimento agli oneri sostenuti per opere e servizi con finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto, destinati alla generalità o a categorie di dipendenti e che siano state sostenute volontariamente, ossia per atto liberale dal datore di lavoro.

(disamina a cura di Simone Baghin CdL in Vicenza – su Ipsoa Quotidiano )

ANALISI PSICOLOGICA 

(analisi estratta da Diritto e Pratica del Lavoro 41/2023 a cura del cdl Marco Del Magna).

La psicologia del lavoro, che ha visto la luce appena un secolo fa, ha messo in evidenza l’esistenza di  una  sorta  di  “contratto”  non  giuridico,  il  contratto  psicologico,  che assume  particolare importanza  al  fine  di  incentivare  il  benessere  e  i  miglioramenti nei  luoghi  di  lavoro,  in accompagnamento al contratto giuridico di lavoro.

La psicologia del lavoro si prefigge di studiare la relazione fra persona e lavoro, in considerazione del fatto  che  «qualunque  lavoro  concretamente  osservato  nei  laboratori, negli  uffici,  nei  cantieri  o nell’agricoltura  moderna  si  presenta  sotto  cinque  aspetti o  attributi  principali:  tecnico,  fisiologico, psicologico, sociale ed economico».

A parere di chi ha elaborato un metodo per combinare lo sviluppo organizzativo (empowerment) con il miglioramento  dei  processi,  ogni  operazione  di  miglioramento  in  azienda  che  si rispetti deve agire su due assi di intervento:

  • quello delle  persone,  con  l’obiettivo  di  sviluppare  il  potenziale,  la  crescita  e  il  benessere dell’organizzazione;
  • quello dei processi, con l’obiettivo di migliorarne costantemente nel tempo le performance in termini di qualità, efficienza ed efficacia.

Alla  base  di  un  buon  contratto  psicologico  sta  il  fatto  di  avere  una  buona  conoscenza delle  realtà organizzative, degli stili direttivi e delle esigenze aziendali e, al contempo ben presenti i presupposti per l’instaurazione e il mantenimento in efficacia di quel contratto psicologico, permette di svolgere un’essenziale funzione preventiva e di promozione.

Elementi  in  grado  di  promuovere  buoni  contratti  psicologici  “in assoluto” forniti d chi si è occupato di «felicità sul lavoro» e che ha cercato di rispondere fornendo un elenco convincente, costituito da dodici punti-chiave, da favorire in ogni ambito di lavoro:

1) influenza personale: si è visto cioè, che poter lavorare con una certa discrezionalità ed autonomia e avere un’influenza, per quanto ridotta, contribuisce a favorire atteggiamenti più positivi.

2) uso  delle  abilità  personali:  si  è  osservato  che  favorire  la  possibilità  di  applicare  le  proprie competenze  per raggiungere  risultati  incentiva  il  miglioramento  e  il  raggiungimento  di  traguardi sempre più importanti;

3) richieste chiare e obiettivi chiari: sul lavoro ci deve essere richiesto di fare qualcosa, le richieste devono  essere chiare  così  come  gli  obiettivi,  al fine  di  incentivare  l’appartenenza  all’azienda e  una partecipazione  attiva;  inoltre,  gli  obiettivi  devono  essere  ben  calibrati,  non troppo  facilmente raggiungibili  e  al  contempo  non  chiaramente  irraggiungibili,  poiché possono  risultare  nocivi  sia  un eccessivo sotto carico che un eccessivo sovraccarico;

4) varietà del lavoro: gli stimoli non devono essere fissi, statici; il lavoro deve offrire la possibilità anche di disabituarsi alle cose, tenendo presente che altresì una varietà eccessiva può risultare nociva; la varietà può essere perseguita tramite variazioni delle metodiche, dei tempi e dei compiti del lavoro, oppure  con  l’introduzione  di  nuove  tecnologie ed  anche  con  il  ritocco  ed  il  perfezionamento  dei processi;

5) chiare esigenze e prospettive: deve essere reso noto cosa ci si aspetta dal lavoratore, devono essere restituiti puntualmente  dei feedback sull’operato e le persone devono essere messe al corrente delle intenzioni future dell’organizzazione;

6)  contatti sociali: si è evidenziata la valenza della relazione che è uno strumento importante per “uscire da  sé  stessi”,  per  conoscere  meglio  gli  altri,  ma  anche  per  “conoscere  meglio  se  stessi attraverso gli altri”; si è inoltre osservato che in particolari contesti lavorativi può essere opportuno dosare la quantità dei contatti con gli altri;

7) equilibrio economico: raggiungere un buon livello di sintesi e di reciprocità tra lo sforzo impiegato e il tornaconto economico, ma anche per le riflessioni su un livello di retribuzione che liberi dall’angoscia di non riuscire a garantirsi un’esistenza libera e dignitosa (art. 36 Cost.);

8) ambiente fisico adeguato:  l’ambiente  di  lavoro  deve  essere  innanzitutto  sicuro,  deve  garantire l’incolumità del lavoratore e, se possibile, deve essere anche piacevole (art. 32 Cost.; art. 2087 c.c.);

9)  significatività dell’esperienza per la persona: si intende che il lavoratore deve riuscire a percepire di aiutare gli altri, di stare svolgendo un’attività in grado di aggiungere valore alle cose o ad un servizio, così da avere l’opportunità di arricchire e mantenere il proprio sentimento di autostima;

10) supervisione di sostegno: si ritiene che occorra la presenza di superiori capaci, abili e competenti a fornire sia feedback che supporto;

11) buone prospettive future: l’esperienza di lavoro deve permettere di rivolgere uno sguardo avanti che lasci intravedere un futuro positivo e, nel migliore dei casi, possibili sviluppi di carriera;

12) trattamento equo e onesto: è determinante osservare che il datore di lavoro “dia l’esempio”, ovvero che si relazioni con i clienti e con il personale in modo trasparente, onesto ed equo.

Sebbene lo sviluppo mondiale della crisi, dal 2008 a oggi, abbia contribuito a distogliere, almeno  in parte, l’attenzione dal tema del “benessere organizzativo”, ciò non toglie che il contratto psicologico si è  invece  venuto  progressivamente  affermando,  specie per  il  fatto  che,  se  è  vero  che  è  complesso computare gli effetti positivi derivanti dal suo rispetto, sono invece evidenti dei riscontri controfattuali quando non vi si ponga adeguata attenzione.

Tali riscontri controfattuali  si  concretano  in  “costi”  da  pagare  per  le  organizzazioni  che  derivano proprio  da  quelle  che  sono  definite  «condotte  lavorative  anomale»,  disfunzionali  o controproducenti,  cioè,  condotte  motivate  messe  in  atto  da  singoli o  da  più  lavoratori  come assenteismo, ritardi al lavoro, workaholism, aggressività e violenza, sabotaggi, mobbing.

Analoga  portata  controfattuale  hanno  altri  eventi,  indifferentemente  addebitabili a  scelte dell’organizzazione  o  dei  lavoratori,  quali  gli  infortuni,  i  pensionamenti  anticipati,  le  numerose  e reiterate  malattie, i l turn-over  di  personale,  con  conseguenti  perdite  di  guadagno  e  produttività notevoli.

Si tratta, nell’uno e nell’altro caso, di condotte che hanno la loro origine e ragione soprattutto  nella “rottura” del contratto psicologico, dal lato del lavoratore come pure dal lato dell’organizzazione.

ANALISI DEL CLIMA – INDAGINE SOCIOLOGICA

estratto da articolo Stefano MALANDRINI – Confindustria Bergamo- diritto e pratica del lavoro 42/2023

Per ottimizzare  la  relazione  tra  imprese  e  lavoratori,  nell’ambito  dell’attività c.d.  di  “gestione”  del personale,  focalizzando  l’attenzione  sull’analisi  di  clima aziendale,  sulla  metodologia  e  sulla successiva  implementazione  di  provvedimenti  risolutivi delle  eventuali  criticità  riscontrate  con esemplificazioni sulle possibili linee di intervento.

Come  è  noto,  tra  le azioni implementabili dagli uffici HR  per ottimizzare  la relazione tra imprese e lavoratori,  nell’ambito  dell’attività  c.d.  di  “gestione”  del  personale,  complementare  alle  attività  di Amministrazione  e  di  contrattualizzazione individuale  e  collettiva  dei  rapporti  di  lavoro,  rientrano anche le analisi di clima aziendale.

Si  tratta  di  approfondimenti  condotti  da  operatori,  interni  od  esterni  all’impresa, solitamente  con competenze  di  psicologia  del  lavoro,  che  attraverso specifici questionari o  confronti  indagano l’opinione dei dipendenti in riferimento a vari aspetti del contesto aziendale.

Le  potenziali  implicazioni  sono  molteplici,  in  quanto  dalle  analisi  possono  emergere problematiche meritevoli di procedure correttive, generalizzate o riferite a gruppi omogenei di lavoratori.

Ne possono conseguire interventi di modifica dei processi interni aziendali riguardanti le modalità di assegnazione delle mansioni, gli orari praticati, i percorsi di accrescimento professionale, i rapporti con colleghi e superiori gerarchici, la retribuzione, il welfare, ecc.

L’attività  non  si  esaurisce  quindi  nella  raccolta  dei  dati  ma  è  propedeutica  alla successiva implementazione di provvedimenti risolutivi delle eventuali criticità riscontrate.

 

 

 

 

Le fasi per costruire un PWA Piano di welfare aziendale

CONOSCERE – PROGETTARE – REALIZZARE – COMUNICARE – MISURARE

  1. Usare analisi swot per fare il quadro di insieme che guiderà le scelte anche a lunga scadenza
  2. analizzare i bisogni (di tutti) e di quelli concreti dei dipendenti un piano di welfare aziendale è realmente efficace e impattante quando è strutturato tenendo conto dell’analisi dei bisogni reali delle lavoratrici e dei lavoratori e degli obiettivi dell’azienda e dell’organizzazione
  3. analisi del clima aziendale e dell’ambiente di lavoro (consigliato solo in alcuni casi)
  4. metodologia di attivazioneintervento volontario e unilaterale o derivante da accordo e regolamento aziendale o con coinvolgimento delle parti sociali
  5. comunicazione del piano di welfare al personale e alle organizzazioni sindacali
  6. la scelta degli stakeholder: Provider di servizi esterni (DAY, HI WELFARE, SODEXO, JOINTLY, EdenRedecc., o proposti dagli istituti Bancario Gestione autonoma di convenzioni stipulate con specifici fornitori, o focus su un unico servizio emerso dall’analisi dei bisogniesempio solo previdenza complementare e agevolazione per i riscatti delle lauree, solo asili e rette scolastiche, solo facilitazioni prestiti e interessi su mutui solo assistenza sanitaria integrativa, solo Viaggi e benessere, solo assistenza agli anziani e servizi per gestire il lavoro domestico i rapporti di lavoro di colf e badanti) .
  7. la redazione del piano di welfare e l’indicazione dell’eventuale ruolo Provider scelto e di come deve essere gestito il credito welfare,
  8. le componenti aggiuntive del piano di welfare: la flessibilità organizzativa – work life balance- lavoro agile – telelavoro– smart working- part time –
  9. la misurazione dei risultati 
  10. il circolo virtuoso del welfare aziendale : conoscenza – crescita delle iniziative e coinvolgimento – consapevolezza dei lavoratori – risultati aziendali – alleanze e servizi associativi – conoscenza e via di seguitoeconomia circolare.

 

Quali scenari per il futuro dei modelli organizzativi

Quello che facciamo ha delle conseguenze e influenza tutti, anche in termini di benessere all’interno delle comunità in cui viviamo, familiari, aziendali, territoriali e poi nazionali. Quali possono essere gli strumenti concreti per favorire la crescita di queste comunità? Il welfare è sicuramente uno strumento fondamentale. Prendersi cura dei bisogni delle persone come ci ha insegnato Adriano Olivetti – è uno dei pilastri su cui si fondano identità e spirito di appartenenza.

 

Articolo a cura di Cristina Fioroni 

Consulente del Lavoro – Esperta in piani di welfare aziendale e analisi previdenziali