L’accesso al credito secondo il Decreto liquidità si è dimostrato, nei fatti, destinato ad una cerchia ristretta di imprese “in perfetto stato di salute” fino all’intervento dell’emergenza COVID-19. Come abbiamo ripetuto più volte non si tratta di “denari veri” ma di una garanzia rilasciata dallo Stato.
Nella sua applicazione pratica, il decreto liquidità presenta delle insidie che sarebbe stato corretto spiegare all’impresa.
LA NATURA PRIVILEGIATA DEL CREDITO GARANTITO da Sace o dal Fondo PMI con il decreto liquidità potrebbe costituire un ostacolo e una “trappola” in un successivo piano di risanamento e/o ristrutturazione societaria/finanziaria.
E poi, non si trascuri che non sono state prorogare le regole in merito alla RESPONSABILITA’ DELL’AMMINISTRATORE: l’art. 5 del D.L. n.23/2020, rinviando al 1 settembre 2021 l’entrata in vigore del codice della crisi, ha fatto salvo l’entrata in vigore del secondo comma dell’art. 2086 c.c..
Ciò significa che l’imprenditore, nonostante la difficoltà del momento, deve istituire un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile per la corretta gestione dell’azienda e deve prontamente mettere in atto tutte le necessarie operazioni atte al superamento della crisi e al recupero della continuità aziendale.
La previsione è importante in quanto la mancata osservanza della norma, prevista come obbligo e non facoltà, comporta una diretta responsabilità dell’imprenditore e dell’amministratore della società in caso di crisi aziendale, anche se non direttamente imputabile al loro comportamento.
Pertanto, nel caso in cui si facesse accesso al credito previsto dal c.d. decreto Liquidità, l’imprenditore dovrebbe verificare con i suoi consulenti, specialisti in materia, se la concessione darebbe la possibilità di superare la momentanea crisi di liquidità causata dalla pandemia in quanto, in caso contrario, il nuovo debito potrebbe rappresentare causa di cattiva gestione.
Prima di procedere, pensateci bene!